martedì 30 giugno 2015

Amensour con Levinas contro i no-gender



L'editore Quodlibet, pubblicando [1], ha affidato il commento a Giorgio Agamben ed a Miguel Amensour; di quest'ultimo commento ritengo opportuno citare un brano:
Occorre distinguere accuratamente due movimenti nella progressione del testo: da un lato, la valorizzazione del privilegio accordato all'esperienza del corpo biologico; dall'altro, la definizione, la nominazione di una nuova Stimmung che conferisce all'hitlerismo la sua dimensione ontologica, ovvero l'incatenamento. Precisiamo che Levinas non si accontenta di constatare l'incatenamento, di registrarlo come un effetto inevitabile, quasi automatico, del primato del corpo biologico. Egli vi scorge molto di più. Lo mette in rilievo come un modo di essere, un valore della nuova società, una concezione del destino umano che giunge a un'autentica accettazione dell'incatenamento, in altre parole alla sua glorificazione. Accettazione, in effetti, è da intendere nel senso forte del termine, poiché è in questione la sincerità di coloro che vi si abbandonano, meglio ancora, il loro accesso possibile all'autenticità; in poche parole ne va dell'accesso al loro essere più profondo e più autentico. Da notare che uno dei motivi di attrazione più forti di questo incatenamento risiederebbe nel rifiuto del carattere ludico della società moderna, che gioca tanto con la libertà che con la verità. Accettare l'incatenamento vuol dire smettere di giocare, incatenarsi alla propria identità, alla verità di questa identità, vuol dire accettare, prendere su di sé la serietà della storia e dell'esistenza. Nessun dubbio che vi sia qui una critica della società moderna liberale, borghese, che cerca al tempo stesso più la sicurezza che la libertà e si compiace di un gioco fatto di assenza di convinzione e di irresponsabilità. In questo senso l'hitlerismo sarebbe una forza reattiva: "a un società in queste condizioni ... l'ideale germanico dell'uomo appare come una promessa di sincerità e di autenticità". Così, controcorrente rispetto ai grandi orientamenti della civiltà europea, l'incatenamento si rivelerebbe come il modo di esistere più autentico. Singolare inversione: mentre tradizionalmente l'immagine delle catene evoca la perdita della libertà, la riduzione in schiavitù, un attentato all'autonomia dell'io, improvvisamente si opera un rovesciamento di prospettiva tale che, una volta evacuata la questione della libertà, considerata un falso problema, "liquidata", la catena diviene il simbolo della coincidenza a sé, dell'identità infine riconquistata e accettata consapevolmente, di una verità dal sapore senza eguali. Di qui una nuova definizione dello spirituale in cui convergono la riabilitazione del biologico e la glorificazione dell'incatenamento, in cui si effettua senza posa un passaggio dall'uno all'altro. "Il biologico, con tutta la fatalità che comporta, diventa ben più che un oggetto della vita spirituale, ne diviene il cuore ... È in questo incatenamento al corpo che consiste tutta l'essenza dello spirito ... L'essenza dell'uomo non è più nella libertà, ma in una sorta di incantamento".
Credo che questo spieghi molto bene, meglio di come sono stato capace in [2], i sentimenti di chi milita nei movimenti no-gender. E perché abbiamo il diritto ed il dovere di mostrarne la contiguità con quelli dei nazisti antisemiti.

Raffaele Yona Ladu
Orgogliosamente ebreo

domenica 28 giugno 2015

Levinas contro i no-gender


Il testo [1] è del 1934, quindi uno fatica a capire come potrebbe applicarsi ad un movimento che ha pochi anni di vita, quello dei no-gender, visto che oltretutto l'autore è nato nel 1904 ed è morto nel 1994.

Purtroppo, questi movimenti hanno abbracciato dolosamente il presupposto fondamentale dell'hitlerismo che già nel 1934 Levinas aveva ferocemente criticato: l'idea che l'io non possa fare astrazione dal corpo, e vi sia anzi inchiodato.

Se per i nazisti questo significava che esistevano una "scienza ariana" ed una "scienza giudaica" (Levinas ha però cura di ricondurre le differenze tra le persone al retaggio storico - ma non cambia la situazione, perché per lui la filosofia dell'hitlerismo è soprattutto una filosofia dell'irrimediabile, dell'impossibilità per le persone di trascendere il loro passato, prima ancora che la loro biologia), e che ariani e non ariani non potevano essere concittadini, per i movimenti no-gender questo significa che le differenze corporee tra uomini e donne rendono impossibile per gli uni agire come le altre.

Quello che rimane implicito, ma che non manca di spaventare chi guarda oltre la superficie, è che, se uomini e donne sono essenzialmente diversi (quello che Levinas dice della razza per i nazisti vale per il sesso per i no-gender), questo significa che non possono discutere, e quindi condividere una verità od una decisione, perché le idee degli uni e degli altri diventano irrimediabilmente sessuate.

Se le idee non sono più aperte alla condivisione da parte di tutti gli esseri umani, appunto perché marchiate come "maschili" o "femminili", esse possono diffondersi soltanto se il gruppo umano che le abbraccia diventa padrone del mondo.

Ergo, riconoscere una diversa essenza negli uomini e nelle donne significa prescrivere loro di lottare blocco contro blocco per la supremazia sociale, culturale, politica. Inutile dire che i maschi, essendo coloro che l'hanno sempre esercitata, sono di gran lunga i favoriti.

Lévinas ricorda che la libertà non è soltanto approfittare di alcune facoltà, ma impegnarsi a riconoscere in ogni altra persona il proprio pari verso cui si è responsabili - se si è invece convinti che l'umanità sia divisa in gruppi irrimediabilmente resi eterogenei dai loro diversi corpi, questo riconoscimento è impossibile.

Riconoscere la differenza tra sesso e genere significa impedire all'io di lasciarsi inchiodare, ovvero "prendere coscienza della propria situazione sociale" per "affrancarsi dal fatalismo che essa comporta". Sono frasi marxiane che a Levinas piacciono poco, ma che lasciano aperta la possibilità per l'io di astrarsi dal corpo.

Pretendere di collassare il genere nel sesso equivale a far collassare l'essere nel corpo. Levinas non riconosce in ciò nulla di ebraico, e neppure di cristiano - cosa che può stupire molti cattolici delle ultime generazioni, nati dopo la mutazione avvenuta nella loro fede.

Si è cercato di superare la sessuofobia cristiana tradizionale, ma lo si è fatto in modo assai poco accorto, abbracciando una concezione essenzialistica della differenza sessuale (cosa non solo poco ragionevole, ma che già allontana dal dettato biblico), e poi identificando quest'essenza nel corpo - con le conseguenze che Levinas individua.

Secondo me, questo lo si è fatto per difendere il divieto delle donne cattoliche a ricevere il sacramento dell'ordine. Alimentare una filosofia che in passato ha portato alla dittatura ed al genocidio è stato considerato il male minore.

Raffaele Yona Ladu

Alcune questioni sulla filosofia dell'hitlerismo / Emmanuel Levinas

(prefazione dell'autore del 1990)

Questo articolo è apparso in "Esprit", rivista del cattolicesimo progressista d'avanguardia, nel 1934, pressappoco all'indomani dell'arrivo di Hitler al potere.

L'articolo procede dalla convinzione che l'origine della sanguinosa barbarie del nazionalsocialismo non sia in una qualche contingente anomalia della ragione umana, né in un qualche malinteso ideologico accidentale. In quest'articolo c'è la convinzione che tale origine attenga ad una possibilità essenziale del Male elemantale (Mal élémental) cui ogni buona logica può condurre e nei cui confronti la filosofia occidentale non si era abbastanza assicurata. Possibilità che s'inscrive nell'ontologia dell'essere che ha cura d'essere - dell'essere "dem es in seinem Sein um dieses Sein selbst geht", secondo l'esressione heideggeriana. Possibilità che minaccia ancora il soggetto correlativo all'esser-da-radunare e da-dominare (l'être-à-rassembler et à-dominer), questo famoso soggetto dell'idealismo trascendentale che innanzitutto si vuole e si crede libero. Dobbiamo chiederci se il liberalismo possa bastare alla dignità autentica del soggetto umano. Il soggetto raggiunge la condizione umana prima di assumere la responsabilità per l'altro uomo nell'elezione che lo eleva a questo grado? Elezione proveniente da un dio - o da Dio - che lo guarda nel volto dell'altro uomo, suo prossimo, "luogo" originale della Rivelazione.

E. L.

(testo)

La filosofia di Hitler è rudimentale. Ma le potenze primordiali che vi si consumano fanno esplodere la fraseologia miserabile sotto la spinta di una forza elementare. Destano la nostalgia segreta dell'animo tedesco. Ben più che un contagio o una follia, l'hitlerismo è un risveglio di sentimenti elementari.

Ma allora, spaventosamente pericoloso, diventa filosoficamente interessante. Perché i sentimenti elementari racchiudono una filosofia; esprimono la prima attitudine di un animo di fronte all'insieme del reale e al suo destino. Predeterminano o prefigurano il senso della sua avventura nel mondo.

Così la filosofia dell'hitlerismo va ben oltre la filosofia degli hitleriani. Pone in questione  i principî stessi di una civiltà. Il conflitto non si gioca solamente tra il liberalismo e l'hitlerismo. Il cristianesimo stesso è minacciato, malgrado le precauzioni o Concordati di cui si avvalgono le Chiese cristiane all'avvento del regime.

Ma non basta distinguere, come certi giornalisti, l'universalismo cristiano dal settarismo razzista: una contraddizione logica non potrebbe giudicare un avvenimento concreto. Il significato di una contraddizione logica che oppone due correnti di idee non appare pienamente se non la si riconduce alla fonte, all'intuizione, alla decisione originale che le rende possibili. È in questo spirito che esporremo qui alcune riflessioni.

1.

Le libertà politiche non esauriscono il contenuto dello spirito di libertà che, per la civiltà europea, significa una concezione del destino umano. È un sentimento della libertà incondizionata dell'uomo di fronte al mondo e alle possibilità che sollecitano la sua azione. L'umo si rinnova eternamente dinanzi all'Universo. Parlando in termini assoluti, non ha storia.

Perché la storia è la limitazione più profonda, la limitazione fondamentale. Il tempo, condizione dell'esistenza umana, è soprattutto condizione dell'irreparabile. Il fatto compiuto, travolto da un presente che fu, sfugge per sempre alla presa dell'uomo, ma grava sul suo destino. Dietro alla malinconia per l'eterno fluire delle cose, per l'illusorio presente di Eraclito, c'è la tragedia dell'inamovibilità di un passato incancellabile che condanna l'iniziativa a non essere che una continuazione. La vera libertà, il vero inizio, esigerebbero un vero presente che, sempre al culmine d'un destino, lo ricominciasse eternamente.

L'ebraismo apporta questo messaggio magnifico. Il rimorso - espressione dolorosa dell'impotenza radicale di riparare l'irreparabile - annuncia il pentimento generatore del perdono che redime. L'uomo scopre nel presente ciò che trasforma e fa dileguare il passato. Il tempo perde la sua stessa irreversibilità. Si piega sfinito ai piedi dell'uomo come una bestia  ferita. Ed egli lo libera.

Il sentimento bruciante dell naturale impotenza dell'uomo nei confronti del tempo costituisce tutta la tragicità della Moira greca, tutta l'acuità dell'idea di peccato e tutta la grandezza della rivolta del Cristianesimo. Agli Atridi, che si dibattono soffocati da un passato estraneo e brutale come una maledizione, il Cristianesimo oppone un dramma mistico. La Croce affranca; e attraverso l'Eucarestia, che trionfa sul tempo, questa liberazione diventa quotidiana. La salvezza che il Cristianesimo vuole portare vale come promessa di ricominciare il definitivo he si compie nel trascorrere degli istanti, di superare la contraddizione assoluta di un passato subordinato al presente, di un passato sempre in causa, sempre rimesso in questione.

In questo modo esso proclama la libertà, la rende possibile in tutta la sua pienezza. Non solo la scelta del destino è libera. La scelta compiuta non diventa un vincolo. L'uomo conserva la possibilità - soprannaturale certo, ma alla sua portata e concreta - di sciogliere il contratto nel quale si è liberamente impegnato. Egli può riacquistare in ogni istante la nudità dei primi giorni della creazione. La riconquista non è facile. Può fallire. Non è l'effetto del decreto capriccioso di una volontà collocata in un mondo arbitrario. Ma l'enormità dello sforzo richiesto equivale alla serietà dell'ostacolo, e sottolinea l'originalità del nuovo ordine promesso e realizzato che trionfa aprendo uno squarcio negli strati profondi dell'esistenza naturale.

Questa libertà infinita rispetto a  qualsiasi legame, per la quale, insomma, nessun legame sarà definitivo, è alla base della nozione cristiana dell'anima. Pur restando una realtà sommamente concreta, che esprime il fondamento ultimo dell'individuo, ha l'austera purezza di un anelito trascendente. Attraverso le vicissitudini della storia reale del mondo, il potere di rinnovamento dona all'anima come una natura noumenica, al riparo dagli attacchi di un mondo in cui l'uomo concreto è tuttavia installato. Il paradosso non è che apparente. Il distacco dell'anima non è un'astrazione, ma un potere reale e positivo di separarsi, di astrarsi. L'uguale dignità di tutte le anime, indipendentemente dalla condizione materiale o sociale delle persone, non deriva da una teoria che affermi, sotto le differenze individuali, una somiglianza della "costituzione psicologica". È dovuta al potere dato all'anima di liberarsi da ciò che è stato, da tutto ciò che l'ha coinvolta, da tutto ciò che l'ha impegnata - per ritrovare la sua prima verginità.

Se il liberalismo degli ultimi secoli evita l'aspetto drammatico di questa liberazione, ne conserva un elemento essenziale sotto forma di libertà sovrana della ragione. Tutto il pensiero filosofico e politico dei tempi moderni tende ad elevare lo spirito umano a un livello superiore alla realtà, scava un abisso tra l'uomo e il mondo. Rendendo impossibile l'applicazione delle categorie del mondo fisico alla spiritualità della ragione, pone il fondamento ultimo dello spirito al di fuori del mondo brutale e della storia implacabile dell'esistenza concreta. Sostituisce, al mondo ottuso del senso comune, il mondo ricostruito dalla filosofia idealista, permeato di ragione e sottomesso alla ragione. Al posto della liberazione attraverso la grazia c'è l'autonomia, ma il leitmotiv giudeo-cristiano della libertà la compenetra.

Gli scrittori francesi del XVIII secolo, precursori dell'ideologia democratica della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, malgrado il loro materialismo, hanno dato espressione al sentimento di una ragione che esorcizzasse la materia fisica, psicologica e sociale. La luce della ragione basta a dileguare le ombre dell'irrazionale. Che cosa resta del materialismo, quando la materia è intrisa di ragione?

L'uomo del mondo liberalista (liberaliste) non sceglie il suo destino sotto il peso di una Storia. Non conosce le sue possibilità come delle potenze inquiete che fremono in lui e lo orientano già verso un cammino determinato. Per lui vi sono soltanto possibilità logiche che si offrono ad  una ragione serena in grado di scegliere mantenendo perennemente le sue distanze.

2.

Il marxismo, per la prima volta nella storia occidentale, contesta questa concezione dell'uomo.

Lo spirito umano non gli appare più come la pura libertà, come l'anima che si libera al di sopra d'ogni vincolo: non è più la pura ragione che fa parte del regno dei fini. È in preda ai bisogni materiali. Ma, alla mercé di una materia e di una società che hanno smesso di obbedire alla bacchetta magica della ragione, la sua esistenza concreta e asservita ha più importanza, più peso di una razionalità impotente. La lotta, che preesiste all'intelligenza, gli impone decisioni che non aveva mai preso. "L'essere determina la coscienza". La scienza, la morale, l'estetica, non sono più morale, scienza, estetica in se stesse, ma esprimono in ogni istante l'opposizione fondamentale delle civiltà borghese e proletaria.

Lo spirito della concezione tradizionale perde quel potere di sciogliere tutti i legami di cui è sempre stato fiero. Si scontra con dei macigni che quella stessa concezione non riuscirà mai a scuotere. La libertà assoluta, quella che compie i miracoli, si trova bandita, per la prima volta, dalla costituzione dello spirito. Perciò il marxismo si oppone non soltanto al Cristianesimo, ma ad ogni liberalismo idealista per il quale "l'essere non determina la coscienza", ma la coscienza o la ragione determinano l'essere.

Per questo, il marxismo coglie in contropiede la cultura europea o, almeno, spezza la curva armoniosa del suo sviluppo.

3.

Tuttavia questa rottura col liberalismo non è definitiva. Il marxismo è cosciente di continuare, in un certo senso, le tradizioni del 1789, e il giacobinismo sembra ispirare in larga misura i rivoluzionari marxisti. Ma soprattutto, se l'intuizione fondamentale del marxismo consiste nell'aver colto lo spirito nell'ineludibile rapporto ad una situazione determinata, questa connessione non ha nulla di radicale. La coscienza individuale determinata dall'essere non è così impotente da non conservare - almeno in linea di principio - il suo potere di rompere l'incantesimo sociale che allora apparirà estraneo alla sua essenza. Prendere coscienza della propria situazione sociale vuol dire, per lo stesso Marx, affrancarsi dal fatalismo che essa comporta.

Una concezione veramente opposta alla nozione europea di uomo sarebbe possibile solo se la situazione a cui è inchiodato (rivé) non si aggiungesse a lui, ma costituisse il fondamento stesso del suo essere. Esigenza paradossale che l'esperienza del nostro corpo sembra realizzare.

Che cos'è secondo l'interpretazione tradizionale il fatto di avere un corpo? È sopportarlo come un oggetto del mondo esteriore. Il corpo pesa a Socrate come le catene che costringono il filosofo nella prigione di Atene; lo rinchiude come la tomba che gli è destinata. Il corpo è l'ostacolo. Spezza il libero slancio dello spirito, lo riconduce alle condizioni terrene, ma, come un ostacolo, è qualcosa da superare.

È il sentimento dell'eterna estraneità del corpo rispetto a noi che ha nutrito tanto il Cristianesimo che il liberalismo moderno Esso ha resistito a tutte le trasformazioni dell'etica, malgrado il declino subìto dall'ideale ascetico a partire dal Rinascimento. Se i materialisti confondevano l'io con il corpo, era a prezzo della negazione pura e semplice dello spirito. Essi ponevano il corpo nell'ambito della natura senza riconoscergli un rango d'eccezione nell'Universo.

Ora, il corpo non è soltanto l'eterno estraneo. L'interpretazione classica relega ad un livello inferiore e considera come una tappa da superare, quel sentimento d'identità tra il nostro corpo e noi stessi che alcune circostanze rendono particolarmente acuto. Il corpo non ci è solamente più vicino o più familiare del resto del mondo, non determina soltanto la nostra vita psicologica, il nostro umore e la nostra attività. Al di là di queste banali constatazioni, c'è il sentimento d'identità. Non ci affermiamo in questo calore unico del nostro corpo ben prima che il pieno sviluppo dell'Io pretenda di distinguersene? E non resistono forse ad ogni prova quei legami che, ben prima che si schiuda l'intelligenza, il sangue ha stabilito? In una pericolosa impresa sportiva, in un esercizio i cui gesti richiedono una perfezione quasi astratta a un soffio dalla morte, ogni dualismo tra l'io e il corpo deve scomparire. E nella situazione senza uscita della sofferenza fisica, il malato non sperimenta forse l'inscindibile semplicità del proprio essere, quando si rigira nel suo letto di dolore senza trovar pace?

Si direbbe che l'analisi riveli nel dolore l'opposizione dello spirito a questo dolore, una rivolta, un rifiuto di restarci e di conseguenza un tentativo di superarlo - ma questo tentativo non si caratterizza sempre come già disperato? Lo spirito ribelle non resta trattenuto nel dolore, ineluttabilmente? E non è questa disperazione che costituisce il fondamento stesso del dolore?

Accanto all'interpretazione data dal pensiero tradizionale d'Occidente che chiama questi fatti bruti e triviali e che li sa sminuire, può sussistere il sentimento della loro originalità irriducibile, il desiderio di custodire la loro purezza. Si darebbe nel dolore fisico una posizione assoluta.

Il corpo non è soltanto un accidente felice o infelice che ci mette in rapporto col mondo implacabile della materia - la sua aderenza all'Io vale di per se stessa. È un'aderenza alla quale non si sfugge e che nessuna metafora potrebbe far confondere con la presenza d'un oggetto esteriore: è un'unione il cui tragico sapore di definitivo nulla potrebbe alterare.

Tale sentimento d'identità tra l'io e il corpo - che, beninteso, non ha niente in comune col materialismo volgare - non permetterà dunque mai, a chi prendesse le mosse da esso, di ritrovare al fondo di questa unità la dualità di uno spirito libero che si dibatte contro il corpo a cui sarebbe stato incatenato. Per costoro, al contrario, è in questo incatenamento al corpo che consiste tutta l'essenza dello spirito. Separarlo dalle forme concrete in cui è già da sempre coinvolto significa tradire l'originalità dello stesso sentimento da cui conviene partire.

L'importanza attribuita al sentimento del corpo, di cui lo spirito occidentale non ha mai voluto accontentarsi, è alla base di una nuova concezione dell'uomo. Il biologico, con tutta la fatalità che comporta, diventa ben più che un oggetto della vita spirituale, ne diviene il cuore. La voce misteriosa del sangue, gli appelli dell'eredità e del passato di cui il corpo è l'enigmatico portatore, perdono la loro natura di problemi sottoposti alla soluzione di un Io sovranamente libero. L'Io non dispone, per risolverli, che delle incognite stesse di questi problemi. Ne è costituito. L'essenza dell'uomo non è più nella libertà, ma in una sorta di incatenamento. Essere veramente se stessi, non significa risollevarsi al di sopra delle contingenze, sempre estranee alla libertà dell'Io: ma, al contrario, prendere coscienza dell'incatenamento originale, ineluttabile, unico al nostro corpo; significa soprattutto accettare questo incatenamento.

Di conseguenza, ogni struttura sociale che annunci un affrancamento dal corpo e che non lo coinvolga diventa sospetta come un'abiura, un tradimento. Le forme della società moderna fondata sull'accordo di volontà libere non appariranno soltanto fragili e inconsistenti, ma false e menzognere. L'assimilazione degli spiriti perde la grandezza del trionfo dello spirito sul corpo. Diventa opera di falsificazione. Da questa concretizzazione dello spirito deriva immediatamente una società a base consanguinea. E allora, se la razza non esiste, bisogna inventarla!

Questo ideale dell'uomo e della società si accompagna ad un nuovo ideale di pensiero e di verità.

Ciò che caratterizza la struttura del pensiero e della verità nel mondo occidentale - l'abbiamo sottolineato - è la distanza che separa inizialmente l'uomo dal mondo delle idee in cui sceglierà la propria verità. Egli è libero e solo di fronte a questo mondo. È libero al punto che può fare a meno di ricoprire questa distanza, di effettuare la scelta. Lo scetticismo è una possibilità fondamentale dello spirito occidentale. Ma una volta annullata la distanza e colta la verità, l'uomo non fa certo a meno della sua libertà. Può riprendersi e tornare sulla propria scelta. L'affermazione cova già la futura negazione. Questa libertà costituisce tutta la dignità del pensiero, ma ne nasconde pure il pericolo. Nell'intervallo che separa l'uomo dall'idea si insinua la menzogna.

Il pensiero diventa gioco. Nella sua libertà l'uomo si compiace e non si compromette in senso definitivo con nessuna verità. Trasforma il suo potere di dubitare in mancanza di convinzione. non legarsi ad una verità diventa per lui non voler impegnare la propria persona nella creazione di valori spirituali. La sincerità divenuta impossibile mette fine ad ogni eroismo. La civilizzazione è invasa da tutto ciò che non è autentico, dai succedanei messi al servizio degli interessi e della moda.

È a una società che perde il contatto vivente dal suo vero ideale di libertà per accettarne le forme degenerate e che, senza vedere lo sforzo che questo ideale esige, si rallegra innanzitutto delle comodità che consente - è a una società in queste condizioni che l'ideale germanico dell'uomo appare come una promessa di sincerità ed autenticità. L'uomo non si trova più davanti a un mondo di idee in cui può scegliersi, con una decisione sovrana della sua libera ragione, la propria verità - egli è già legato ad alcune tra quelle, com'è legato fin dalla sua nascita a tutti coloro che sono del suo stesso sangue. Non può più giocare con l'idea, perché scaturita dal suo essere concreto, ancorata alla sua carne e al suo sangue, essa ne conserva la serietà.

Incatenato al suo corpo, l'uomo si vede rifiutare il potere di sfuggire a se stesso. La verità, per lui, non è più la contemplazione di uno spettacolo estraneo - essa consiste in un dramma di cui l'uomo stesso è l'attore. È sotto il peso di tutta la sua esistenza - che comporta dei dati su cui non si può più tornare - che l'uomo dirà il suo sì o il suo no.

Ma a cosa obbliga questa sincerità? Ogni assimilazione razionale o comunione mistica tra spiriti che non si fondi su una comunità di sangue è sospetta. E tuttavia il nuovo tipo di verità non potrebbe rinunciare alla sua natura formale e smettere di essere universale. La verità potrà ben essere la mia verità nel senso più forte di questo possessivo - essa deve però tendere alla creazione d'un mondo nuovo. Zarathustra non s'accontenta della propria trasfigurazione, scende dalla sua montagna e porta un vangelo. Ci sarà - ed è nella logica dell'ispirazione originaria del razzismo - una modificazione fondamentale dell'idea stessa di universalità. Essa dovrà far posto all'idea di espansione, perché l'espansione d'una forza presenta tutt'altra struttura dalla propagazione di un'idea.

L'idea che si propaga, si distacca essenzialmente dal suo punto di partenza. Malgrado l'accento unico che il suo creatore le conferisce, essa diventa di patrimonio comune. È sostanzialmente anonima. Appartiene a chi la accetta come a chi la propone. La diffusione di un'idea crea così una comunità di "maestri" ("maîtres") - è un processo di parificazione. Convertire o persuadere è crearsi dei pari. L'universalità d'un ordine nella società occidentale riflette sempre questa universalità della verità.

La forza è invece rappresentata da un altro tipo di propagazione. Chi la esercita non se ne separa. la forza non si disperde tra coloro che la subiscono. È tutt'uno con la personalità o la società che la esercitano, le accresce subordinando loro tutto il resto. Qui l'ordine universale non si stabilisce più come corollario dell'espansione ideologica - esso è questa espansione stessa che costituisce l'unità di un mondo di padroni (maîtres) e schiavi. La volontà di potenza nietzschiana che la Germania moderna ritrova e glorifica non è soltanto un nuovo ideale, è un ideale che apporta nello stesso tempo la sua forma propria di universalizzazione: la guerra, la conquista.

Ritroviamo qui delle verità ben note. Abbiamo tentato di ricollegarle ad un principio fondamentale. Può essere ci sia riuscito di mostrare che il razzismo non si oppone solamente a questo o a quel punto particolare della cultura cristiana e liberale. Che qui non è questo o quel dogma della democrazia, del parlamentarismo, del regime dittatoriale o della politica religiosa ad esser messo in causa. È l'umanità stessa dell'uomo.

(fine)

Versione tratta dall'edizione Quodlibet pubblicata a Macerata nel 1996. I corsivi sono nell'originale.

Raffaele Yona Ladu

sabato 27 giugno 2015

Strong 6106 ('Etzem = osso, essenza) contro una concezione essenzialista della differenza sessuale



Ho già sostenuto in [1] che i movimenti "no-gender" esprimono una teologia para-sacerdotale (P) che, anziché cercare un accordo con la teologia jahwista (J), come si dovrebbe fare nelle migliori versioni dell'ebraismo e del cristianesimo, ha optato per lo scontro frontale, in cui recluta masse di fedeli ignari - tra cui devo iscrivermi anch'io, non perché io sia un no-gender, ma perché non ho notato subito quello che sto per dirvi.

Rileggiamo un attimo Genesi 2:23, sia in ebraico (Biblia Hebraica Stuttgardensia Quinta) che in italiano (traduzione Shadal 1872 - alcune traduzioni cristiane commentate):
וַיֹּאמֶר֮ הָֽאָדָם֒ זֹ֣את הַפַּ֗עַם עֶ֚צֶם מֵֽעֲצָמַ֔י וּבָשָׂ֖ר מִבְּשָׂרִ֑י לְזֹאת֙ יִקָּרֵ֣א אִשָּׁ֔ה כִּ֥י מֵאִ֖ישׁ לֻֽקֳחָה־זֹּֽאת׃
E l’uomo disse: Questa finalmente è osso delle mie ossa, e carne della mia carne; questa deve chiamarsi Iscià [donna], poichè da Ish [uomo] fu tratta. 
I quattro link nelle citazioni puntano al Numero 6106 della Concordanza ebraica di Strong, ovvero alla parola ebraica עצם ('etzem), che significa sia osso che ... essenza, già in ebraico biblico.

Lo jahwista, pur non essendo un filosofo aristotelico, diffida qui chiunque si ispiri alla Bibbia dal ritenere che diverse siano le essenze dell'uomo e della donna.

Qui si trova l'elenco di tutti i 126 passi rinvenuti da Strong in cui appare la parola עצם ('etzem); quelli in cui è più evidente il significato di essenza qui li riporto:
Qui la parola viene usata al plurale, ma può essere intesa sia concretamente ("ossa") che astrattamente ("tutta la persona" = "l'essenza"):
Inoltre, l'espressione עצמך ובשרך אנחנו ('atzmekha u-vsarekha anachnu) = siamo il tuo osso e la tua carne, che ricorre in varie forme in questi passi:
indica comune essenza e vita (non necessariamente parentela - vedi 2 Samuele 19) - le stesse cose che Adamo riconosce in colei che verrà chiamata poi Eva, anche se usa un'espressione più enfatica: עצם  מעצמי ובשר  מבשרי ('etzem me-'atzmay u-vasar mi-besari) = osso delle mie ossa, carne della mia carne.

Credo che una visione essenzialista della differenza sessuale la si possa dichiarare preclusa dalla Bibbia. I teologi cattolici (e di altre confessioni cristiane) devono ricominciare daccapo; quelli ebrei, come ho mostrato in [2], sono stati più attenti.

Raffaele Yona Ladu



P. S.: Un'interessante obiezione che ho ricevuto, in un dibattito su Facebook, è questa: Adamo è un essere di terracotta, Eva di porcellana d'ossa (a dire il vero, la porcellana d'ossa era ignota al Vicino Oriente in epoca biblica).

Grammaticalmente, l'obiezione ha un senso: la preposizione מן (min), che si trova modificata in עצם  מעצמי('etzem me-'atzmay), può introdurre sia un complemento partitivo (da cui la lettura tradizionale "osso delle mie ossa", e quella che propongo, "essenza della mia essenza"), sia un comparativo di maggioranza.

Poiché l'ebraico biblico consente di sottintendere l'aggettivo che svaluta il secondo termine di paragone, עצם  מעצמי ובשר  מבשרי ('etzem me-'atzmay u-vasar mi-besari) lo si può intendere così: "essenza [più fine] della mia essenza, carne [migliore] della mia carne".

Però l'espressione עצמך ובשרך אנחנו ('atzmekha u-vsarekha anachnu) viene usata, nei passi citati, per avvertire l'interlocutore che si condividono con lui essenza e condizioni di vita, e si ha diritto perciò di essere trattati con favore - perciò ho scartato quest'interpretazione.

Se ne può riparlare.

Raffaele Yona Ladu

venerdì 26 giugno 2015

Udite Udite: il matrimonio egualitario è diritto costituzionale in tutti gli Stati Uniti d'America


La Corte Suprema USA ha appena sentenziato che il matrimonio egualitario è diritto costituzionale in tutti gli Stati Uniti d'America.

In [1] c'è qualche dettaglio in più, e qui mi limito a ringraziare coloro che hanno reso possibile questo, tra cui i tre giudici ebrei su nove della Corte Suprema USA (Ruth Bader Ginsburg, Stephen J. Breyer, Eliza Kagan).

Raffaele Yona Ladu

Primo trattato internazionale dello Stato di Palestina


L'articolo [1] informa che il Vaticano è il primo paese al mondo a stipulare un trattato con lo Stato di Palestina, sulle attività della chiesa cattolica nelle aree controllate dall'Autorità Palestinese.

Israele ha condannato la mossa come frettolosa e capace di diminuire le prospettive di pace, mentre il Vaticano spera che risvegli un processo di pace ormai letargico.

Noi che sosteniamo il principio dei "due stati per due popoli", ci complimentiamo con i palestinesi, e speriamo che il processo di pace riprenda.

Raffaele Yona Ladu

giovedì 25 giugno 2015

Per la Comunità di Base di Verona

Mi è stato chiesto di scrivere un contributo per la Comunità di Base di Verona, ed ho voluto pubblicarlo anche qui.

Cari lettori,

mi chiamo Raffaele Yona Ladu, sono il vicepresidente del Circolo ARCI Lieviti ( http://biqueer.blogspot.it/ ), la prima associazione italiana di persone bisessuali (che cioè amano persone di più di un sesso o genere) ed ho creato “Non è in cielo” ( http://non-e-in-cielo.blogspot.it/ ), un gruppo di studi ebraico-umanistici affiliato al Congresso Mondiale degli Ebrei GLBT [Gay, Bisessuali, Lesbiche, Trans].

L’enciclica papale “Laudato Sì” non si occupa soltanto di ecologia – dedica un paragrafo, il 155, ai rapporti dell’uomo con il proprio corpo, e tra gli uomini e le donne. Ve ne riporto il testo:
155. L’ecologia umana implica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura, relazione indispensabile per poter creare un ambiente più dignitoso. Affermava Benedetto XVI che esiste una «ecologia dell’uomo» perché «anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere».[120] In questa linea, bisogna riconoscere che il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa».[121]
[120]: DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI : Reichstag di Berlin : Giovedì, 22 settembre 2011
[121]: PAPA FRANCESCO : UDIENZA GENERALE : Piazza San Pietro : Mercoledì, 15 aprile 2015
I problemi che pone in me questo paragrafo cominciano con il concetto di “natura umana”.

La critica più comune ed efficace al concetto è che, poiché non c’è nulla che ci permetta di distinguere infallibilmente il “naturale” dall’“innaturale”, si rischia di dichiarare “innaturale” quello che non facciamo noi e le persone che conosciamo meglio, ma che altre persone lontane di cui non sappiamo nulla fanno senza danno per nessuno.

C’è però anche un altro aspetto: il pensiero ebraico rigetta questo concetto. Ve ne potete rendere conto leggendo questo brano che Adriano Fabris, nel suo libro “Il pensiero ebraico contemporaneo”, alle pp. 118-119, dedica ad Abraham Joshua Heschel (1907-1972), pensatore molto noto anche in Italia, ed apprezzatissimo anche da molti cattolici:
Definendo l'uomo come essere del pathos, il nostro autore individua nel trascendimento-di-sé, che si esprime nelle diverse modalità coscienziali, la caratteristica essenziale dell'uomo. "La condizione più caratteristica dell'uomo è la scontentezza per il mero essere, originata da una sollecitudine che non si può far derivare dal semplice essere capitati qui, dall'esserci [...] La coscienza dell'io si manifesta nel suo essere sollecitata" (Heschel, 1971, p.161). Tale trascendersi del pathos dell'uomo spinge il nostro autore ad affermare che propriamente non esiste una natura umana, qualcosa di determinante che condizioni necessariamente l'uomo. L'uomo non è mai finito, non è un essere immutabile. "L'essenza dell'uomo infatti non si esaurisce in ciò che egli è, ma in ciò che può essere" (Heschel, 1970, p. 215). Queste possibilità sono dischiuse nell'immagine che ogni uomo cerca e sceglie di sé. "L'immagine dell'uomo influisce sulla natura dell'uomo. Ogni tentativo di dedurre un'immagine della natura umana si riduce alla deduzione di un'immagine che già originariamente vi era insita" (Heschel, 1971, p.17).
Heschel pone quindi una dialettica tra essere uomo (human being) ed essere umano (being human): una dialettica tra natura e cultura. Heschel vuole affermare così che l'uomo può comprendersi pienamente solo nel suo essere umano, cioè nel dover-essere, e non nel suo semplice essere-uomo. (...)
Per questo pensatore, lo scopo dell’uomo non è vivere secondo natura, ma il trascendere la propria natura.

Dio non chiede ad Abramo solo di lasciare la propria terra e la propria famiglia d’origine (Genesi 12:1-3), ma di trascendere la propria natura per porre sé, la propria famiglia di elezione, e la propria discendenza al servizio di Dio; e lo scopo della liberazione degli ebrei dall’Egitto è farne un “popolo peculiare”, un “regno di sacerdoti ed una nazione santa” (Esodo 19:4-6), non di seguire una legge naturale.

Uno dei concetti più cari agli attivisti ebrei contemporanei di ogni paese è il “tiqun ha-‘olam = perfezionamento del mondo”: il mondo non va lasciato così com’è, perché Dio stesso ci chiede di cooperare con lui per migliorarlo. Non è solo il prendere atto che il male ha corroso un’opera magnifica, è il capire che Dio avrebbe voluto comunque che l’uomo continuasse il suo lavoro creatore.

Anche la circoncisione avrebbe questo significato: un midrash dice che uno dei carcerieri romani di rav Aqiva lo prese in giro perché circonciso - secondo quel romano, il pene era già a posto nel suo stato naturale, e pertanto la circoncisione era completamente superflua.

Aqiva rispose facendogli notare che quando lui era nato non gli avevano lasciato attaccato il cordone ombelicale. Il fatto che una cosa sia secondo natura non significa che la si debba lasciare inalterata; per un ebreo circoncidersi significa modificare la propria natura (oops ... il gioco di parole non è ebraico) per porsi al servizio di Dio.

Tutto questo ci permette di stabilire che il fare della natura un legislatore non ha origine nella Bibbia – ha origine nella filosofia stoica, di cui l’esponente più noto è Seneca.

Nel mondo antico il postulare una natura umana universale ha avuto il grande pregio di abolire le differenze sociali ed affratellare le persone; ora, sempre più spesso, il concetto di “natura umana” viene usato per dividere, e diventa difficile limitarsi ad un educato dissenso.

Infatti, fare appello alla “natura umana” per negare diritti a delle persone che agirebbero contro di lei non nuoce soltanto alle persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans), nuoce anche agli ebrei ed a tutti coloro che rifiutano questo concetto.

Non per niente, l’antisemitismo che culminò nell’ideologia nazista, da Nietszche ad Heidegger, affermava che gli ebrei impedivano alla natura di seguire il suo corso, ed il filosofo ebreo Emmanuel Lévinas, nel suo opuscolo del 1934 “Alcune riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo”, affermò che nel nazismo c’era un’idolatria della natura.

Direi perciò che il concetto di “natura umana” va usato con cautela.

Passando dalla natura umana alla differenza sessuale, grande tema che appassiona il pensiero religioso cristiano e filosofico in generale negli ultimi decenni, vorrei rassicurare i lettori: tutti sappiamo che la differenza sessuale esiste; ma ognuno la concepisce in modo diverso.

La concezione propugnata dagli ultimi pontefici, a partire almeno da Giovanni Paolo 2°, e che si ritrova anche in altre confessioni cristiane, è “essenzialista”. In filosofia l’essenza è “la realtà propria e immutabile delle cose, intesa soprattutto come la forma generale, l’universale natura delle singole cose appartenenti allo stesso genere o specie” (Dizionario di Filosofia Treccani, 2009), e qui nasce il serio problema.

Se si è convinti che la mascolinità e la femminilità siano “realtà proprie ed immutabili”, e che ogni uomo e donna non possano fare altro che incarnarli, questo significa che i rapporti tra i sessi sono fissati in una forma che viene fatta risalire al divino volere, ed ogni deviazione è pericolosa.

L’esperienza mostra invece che uomini e donne ricoprono ruoli sociali molto diversi a seconda dei tempi, dei luoghi e delle culture; se provate a studiare il modo in cui i vostri amici e parenti vivono il loro ruolo di genere, scoprite che ognuno lo interpreta a suo modo; e se cominciate a confrontare gli amici italiani con quelli stranieri, quelli che si riconoscono in un movimento ecclesiale con quelli che si riconoscono in un altro, quelli di una fede con quelli di un'altra, cominciate a rendervi conto dell'enorme variabilità di questi ruoli.

È bene chiedersi in che misura i diversi ruoli si dimostrino oppressivi, e modificarli, ma se lo scopo è ricondurli ad un modello prefissato, non si va molto lontano.

Chi si appella a questo modello lo basa su Genesi 1:27: “Maschio e femmina Iddio li creò”. La mia opinione è che si sta cadendo di nuovo nel medesimo errore commesso con Giosuè 10:12: “Sole, fermati in Gàbaon, e tu, luna, sulla valle di Aialon”.

La Bibbia non è un trattato di biologia, così come non è un trattato di astronomia; è almeno dal tempo degli Amorei  (tra gli autori del Talmud, vissuti tra il 200 ed il 500 dell’era volgare) che gli ebrei danno di quel passo un’interpretazione allegorica, e cito per tutti un raffinato pensatore, Joseph Ber Soloveitchik (1903-1993), che scrisse:
I principi della creatività e della recettività, dell'agire e del subire, dello stimolare e dell'assorbire, dell'aggressività e della tolleranza, dell'iniziare e del completare, dell'emanazione illimitata di un essere trascendente e della misurata riflessione del cosmo, sono ritratti dal motivo duale della mascolinità e della femminilità all'interno della nostra esperienza religiosa ... La trascendenza incondizionata, creativa, infinita, e l'immanenza autocondizionata, ricettiva e finita di Dio sono simbolizzati dalla mascolinità e dalla femminilità.
Del resto, già il Talmud parla delle persone intersessuali (in cui la determinazione del sesso biologico è incerta – forse gli eunuchi di cui parlano Isaia 56:3 e Matteo 19:12 erano appunto intersessuali), ed i suoi autori non potevano perciò cullarsi nell’illusione che l’umanità si potesse dividere nettamente in maschi e femmine.

Come insegna Maimonide, se l’interpretazione letterale di un passo biblico si dimostra irragionevole (Geremia 32:21: “Tu conducesti il tuo popolo fuori dal paese d'Egitto (…) con mano potente e braccio steso”), o falsa (il già citato Giosuè 10:12: “Sole, fermati in Gàbaon, e tu, luna, sulla valle di Aialon”), si deve passare ad un’interpretazione allegorica.

Parlando di modelli sociali, entra qui il discorso del “genere” o “gender”. Comincio semplicemente a dire che la differenza tra “sesso” e “genere” è questa: il sesso è il dato biologico, il genere quello psicologico e sociale.

Scendendo più in dettaglio, il modello più comune dell’“identità sessuale” la divide in quattro componenti:
  • Sesso biologico (in prima approssimazione, la struttura corporea);
  • Identità di genere (il sentirsi appartenere ad un gruppo di persone o ad un altro – per esempio, i maschi o le femmine);
  • Orientamento sessuale (il desiderio di stabilire relazioni intime [non solo di procurarsi la soddisfazione sessuale] con persone di un gruppo o di un altro – gli orientamenti più comuni sono l’eterosessuale [verso persone di un gruppo diverso dal proprio], l’omosessuale [verso persone del proprio gruppo], bisessuale [verso persone del proprio gruppo e di altri gruppi]; pedofilia e zoofilia non sono orientamenti sessuali, perché chi le pratica non desidera stabilire una relazione intima con le proprie vittime, ma solo sfruttarle sessualmente);
  • Ruolo di genere (il comportarsi come la società chiede ad un gruppo di persone o ad un altro – sempre per esempio, i maschi o le femmine).
Nella maggior parte delle persone (circa il 95%), non ci sono dubbi sul sesso biologico, l’identità di genere è allineata ad esso, e l’orientamento è eterosessuale. Quella che è una maggioranza statistica diventa una norma da seguire se si ha una concezione essenzialista della mascolinità e della femminilità; e con questa concezione non si ha sufficiente riguardo per la variabilità dei ruoli di genere a seconda dei tempi, dei luoghi e delle culture.

Cambiare il sesso biologico richiede trattamenti medico-chirurgici specializzati, dolorosi, costosi, ed ancora poco soddisfacenti; e cambiare identità di genere ed orientamento sessuale è assolutamente impossibile.

Lasciate perdere sia chi vi vuole spaventare dicendo che a scuola si vogliono rendere i bambini omosessuali, bisessuali, o transessuali (se anche ci si provasse, non si otterrebbe nulla), sia chi vi vuole abbindolare dicendo che si può smettere di essere omosessuali (le migliaia di omosessuali finiti sul rogo, o nei campi di concentramento nazisti, sono la macabra prova che non è vero; ed il 25 Giugno 2015 nel New Jersey è stata condannata per frode in commercio un'organizzazione ebraica chiamata JONAH che prometteva di curare una cosa che non è una malattia - l'omosessualità). L’unica cosa che si può cambiare con relativa facilità è il ruolo di genere, perché è un costrutto sociale.

E, guarda caso, gli ebrei e gli omosessuali avevano una caratteristica in comune per i nazionalisti alla cui ideologia avrebbe attinto il nazismo: non vivevano secondo la concezione che costoro avevano della virilità – quello che oggi chiameremmo “ruolo di genere maschile”.

Dovremmo aver imparato la lezione: imporre ruoli di genere troppo rigidi è molto pericoloso. Un conto è lottare contro l'oppressione e la violenza di genere, un altro aver paura del pluralismo sociale.

Quello che temono i “movimenti no gender” è che i ruoli di genere vengano cambiati in un modo che a loro non piace, prima ancora che vengano definitivamente sdoganate dalla società (la medicina e la psicologia lo hanno già fatto) l’omosessualità, la bisessualità, la transessualità. E quando gli argomenti scarseggiano, fioriscono le panzane e gli appelli ad una non meglio chiarita volontà divina.

Rifiutare una visione “essenzialista” della differenza sessuale non vuol dire rifiutare la realtà di questa differenza. L’enciclica cade in questo errore quando dice: 
Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa».
La frase “non è sano” in un dibattito squalifica chi la usa, perché le idee vanno confutate, non sottoposte a diagnosi psichiatrica; ora vi mostro una visione alternativa della differenza sessuale – non dico che sia la migliore, ma permette di capire che “ci sono più cose in cielo ed in terra che nella (…) filosofia” espressa nel paragrafo 155 dell’enciclica.

Dal 1983 esiste a Verona la comunità filosofica femminile Diotima, ispirata al “pensiero della differenza sessuale” di Luce Irigaray; che cosa loro intendano per “differenza sessuale” lo si può intuire da questo brano pubblicato in http://www.arcosricerca.it/Lavori/step/Il%20pensiero%20della%20differenza%20e%20la%20pedagogia%20della%20differenza%20sessuale.pdf
Non è dunque in riferimento a valori e qualità corrispondenti ad un supposto carattere biologico-sociale femminile, o ad una presunta essenza o identità dell'essere donna, che questo ordine si costituisce: perché questo avverrebbe in un regime di soggezione a quanto pensato dall'altro soggetto, obbligando le donne alla fantasia di una realtà fatta da altri. Questo ordine invece, che ha carattere di necessità perché corrisponde alla verità della differenza sessuale, viene alla luce generando i propri principi costitutivi in riferimento ai valori scaturiti dalle relazioni tra donne che hanno inteso valorizzare il proprio sesso per farsi soggetti.
Il brano è chiaro: una visione “essenzialista” della differenza sessuale fa delle donne l’incarnazione non della propria femminilità, ma delle fantasie che gli altri fanno su di loro. L’essere umano (non solo la donna) si costituisce nella relazione sociale, e, per quanto sia importante il dato biologico, non è il solo a determinarne carattere e scelte di vita.

Vogliamo discutere seriamente della differenza sessuale? Togliamo gli anatemi, anche e soprattutto quando travestiti da diagnosi, ed ammettiamo il pluralismo delle idee. Il resto verrà.

Raffaele Yona Ladu


mercoledì 24 giugno 2015

CER, Di Segni, Family Day

Ho una gran fretta, per cui devo per forza scribacchiare degli appunti che perfezionerò poi:

http://www.loccidentale.it/node/1831

https://www.facebook.com/ComunitaEbraicaDiRoma

http://www.italialaica.it/news/articoli/26799

http://www.nostreradici.it/RavDiSegni-Dico.htm

https://twitter.com/raviologist/status/612545593471332352

La congerie di link serve a spiegare che chi interpreta sbrigativamente il messaggio del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni al Family Day del 20 Giugno 2015 come un'adesione dell'ebraismo alle tesi omofobiche dei suoi promotori sbaglia alquanto.

Va ricordato che già nel 2007, quando rav Di Segni aderì a quel Family Day, argomentando su "Shalom" perché l'ebraismo ortodosso non consentirebbe nemmeno ai non-ebrei di autorizzare matrimoni omosessuali tra uomini, egli spaccò la comunità ebraica romana - alle persone citate nei link si può aggiungere Amos Luzzatto, che lo contestò.

Quest'anno Di Segni si è reso conto che un'adesione pubblica avrebbe suscitato opposizioni ancora più forti, e si è limitato ad un tweet solo velatamente omofobo, mentre la Comunità Ebraica di Roma dichiara in ogni occasione che al Family Day non ha aderito, e che il messaggio del rabbino invitava a tener conto di tutte le sensibilità.

Invitiamo Ruth Bader Ginsburg a Roma?

Raffaele Ladu
Orgogliosamente ebreo umanista
(e pertanto sostenitore del matrimonio egualitario e della transizione di genere non medicalizzata).

lunedì 22 giugno 2015

Chi non sa confrontarsi con il pensiero della differenza sessuale




Francis DeBernardo, l'autore di [1], ha notato che l'enciclica [2] dedica anche un paragrafo al corpo ed al genere; l'autore sembra ignorare l'italiano, e cita il testo inglese; io ve lo riporto in italiano:
155. L’ecologia umana implica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura, relazione indispensabile per poter creare un ambiente più dignitoso. Affermava Benedetto XVI che esiste una «ecologia dell’uomo» perché «anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere».[120] In questa linea, bisogna riconoscere che il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato. Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa».[121]
Come riferisce [1], c'è chi ha dedotto che Papa Francesco intendesse condannare il transessualismo/transgenderismo; sicuramente ha una concezione "essenzialista" della differenza sessuale, e ritiene che chi non la condivide intenda cancellarla perché non sa confrontarsi con essa.

Il problema è che l'"essenzialismo" non è l'unico modo di concepire la differenza sessuale, e perfino nel pensiero cattolico e cristiano questa è un'evoluzione recente, come ha osservato Megan K. DeFranza.

Concezioni diverse non le hanno solo gli ebrei (ho citato in altre occasioni Joseph Ber Soloveitchik ed Abraham Joshua Heschel), ma anche i valdesi e, immagino, anche altre confessioni cristiane - il papa sarebbe tenuto a considerarli dei "cancellatori", insieme con le femministe che seguono.


Nel 2005 la sua socia Alessandra Antinori ha pubblicato lo scritto Maschile e Femminile: che "genere" di sapere, che potete leggere nella sua interezza in [3], e di cui vi riporto il brano che mi sembra più interessante, alle pagine 11-12 di [3], tratto dal contributo di Anna Maria Piussi Ragione femminile e ordine dell'educare (il culmine l'ho riportato in corsivo, il climax in corsivo grassetto):
D'altra parte l'educazione, come possibilità di conoscenza di sé e del mondo attraverso un'altra donna, e come iniziazione ad un orizzonte di senso e ad uno stile di vita in cui affermare in modo libero la propria umanità femminile, coincide con 1’avvenire della differenza sessuale. Purché questa non sia intesa riduttivamente come somma di controvalori rispetto al maschile come biologia e storia femminile già data, ma come qualcosa che si costruisce tra donne nell'atto di inverare la nostra condizione originaria di esseri umani femminili affidandola alla dimensione del linguaggio e dell'autosignificazione: e dunque quale «nostro altro ancora da attualizzare, nostro al di qua e al di la di vita, di forze, d'immaginazione, di creazione, nostra possibilità di un presente e di un avvenire» [9].
In questo orizzonte di senso l’educazione, come generare/generarsi del soggetto femminile dalle modificazioni da esso stesso agite, esalta al massimo il suo significato politico, di trasformazione del reale (umanità e storia), quel significato che, pur sempre presente nel suo concetto, la sua storia troppo spesso ha tradito, mortificandolo alla conservazione dell'esistente.
Per quanto finora detto, l'ordine educativo femminile non va inteso come sistema compiuto di dispositivi materiali e simbolici, di norme, regole ecc. prodotto da un atto volontaristico o da un pensiero astratto dalle pratiche sociali da contrapporre all'ordine maschile, ma come il prender corpo nella scena educativa comune, perciò anche nella scuola di tutti, di alcune idee-forza (e di altre che verranno dalla pratica politica e dal mondo delle donne) che sono già il risultato dell'elaborazione teorico-politica delle donne, del loro farsi soggetto.
[Pag. 12]
Non è dunque in riferimento a valori e qualità corrispondenti ad un supposto carattere biologico-sociale femminile, o ad una presunta essenza o identità dell'essere donna, che questo ordine si costituisce: perché questo avverrebbe in un regime di soggezione a quanto pensato dall'altro soggetto, obbligando le donne alla fantasia di una realtà fatta da altri. Questo ordine invece, che ha carattere di necessità perché corrisponde alla verità della differenza sessuale, viene alla luce generando i propri principi costitutivi in riferimento ai valori scaturiti dalle relazioni tra donne che hanno inteso valorizzare il proprio sesso per farsi soggetti.
La fonte dell'ordine educativo femminile sono dunque i rapporti tra donne, in particolare quelli che si giocano all'interno dei processi formativi e della scuola. Da qui, dal contesto stesso delle pratiche educative e didattiche che si modificano in forza delle mediazioni femminili, scaturiscono nuovi principi e criteri regolativi di un agire e di un accadere educativo non escludenti o depotenzianti i soggetti femminili, ma capaci di includerli positivamente perché ad essi corrispondenti. Di modo che, per le donne, chiamare alla piena esistenza il proprio io entrando nel mondo umano per i tramiti della cultura e dell'intersoggettività sia insieme dar vita ad un mondo che, come soggetti, si è contribuito a significare aprendo nuovi orizzonti di senso e di visibilità, e che dunque non ci nega. E trascendere la propria esperienza immediata per trasformarla in sapere di sé e del mondo, eccedendo la datiti del proprio esistere per farsi eccellenti, in cui consiste l'educazione, non significhi tradimento di sé e tradimento della propria origine, la madre.
[9 corrisponde a] Luce Irigaray, Femmes divines, in Sexes et parentés, Paris, Minuit, 1987, p. 85
Come potete notare, le "femministe della differenza" di Diotima sono le critiche più feroci del pensiero papale, che ritengono un cadeau empoisonné = regalo avvelenato.

Due cose sono da aggiungere.

La prima è che la "differenza sessuale secondo il papa" viene concepita solo all'interno della matrice eterosessuale, come mostra questo brano:
Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente.
Infatti mascolinità e femminilità sono concepiti solo in funzione l'una dell'altra - i rapporti omosessuali sono passati sotto silenzio.

È stato osservato che Papa Francesco non vuole morte le persone omosessuali, e probabilmente salverebbe loro la vita, se del caso; ma questi rapporti sono per lui un "vizio nefando", di cui non si deve parlare.

Infine, particolarmente sgradevole è questa frase (il corsivo grassetto è mio):
Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa».
L'espressione non è sano non è scappata di mano ad un semplice blogger: deve aver superato il finissimo vaglio a cui la Curia Romana sottopone tutti gli scritti (e probabilmente anche i discorsi) pontifici, quindi è pienamente intenzionale.

Devo perciò rispondere che non tocca al papa stabilire ciò che è sano e ciò che è malato.

Né alla sua carica, né tanto meno alla sua persona, in quanto Jorge Maria Bergoglio non ha né le cognizioni, né il titolo legale per farlo: ha una laurea in filosofia, ed ha insegnato letteratura e psicologia (e perché non filosofia?) in due scuole medie superiori gesuite (secondo la voce che gli dedica Wikipedia in inglese), però non è mai stato abilitato alla psicoterapia.

Ma, soprattutto, perché le perizie psichiatriche dovrebbero star fuori da ogni serio dibattito. Anche quando si giudicano poeti come Hölderlin, compositori come Schumann, matematici come Newton oppure Nash, filosofi come Nietzsche, pittori come Van Gogh, sono le opere a contare, non la psicopatologia dell'autore.

Quella frase può essere letta in molti modi, per esempio come un incoraggiamento ai terapeuti riparatori; in ogni caso, credo che l'uso strumentale della psichiatria, come accadeva nelle dittature argentina, sovietica, ecc., dovrebbe essere bandito.

Il papa è convinto che esista una sola concezione possibile della differenza sessuale - la sua; e chi non la condivide non è sano. Ora abbiamo capito perché il suo ordine religioso (noto per la qualità delle sue scuole) si è ben guardato dal fargli insegnare la filosofia, anche solo ai liceali.

Gli omofobi temono (a torto) di finire in galera per le loro opinioni (che sono cosa ben diversa dall'ingiuria, dall'incitamento, dall'istigazione) - devo invece temere di finire in manicomio perché il papa, anziché confutare i suoi avversari ideologici, trova più comodo patologizzarli?

Raffaele Ladu
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale.

giovedì 18 giugno 2015

"Non è in cielo" è la prima organizzazione italiana ammessa al "World Congress of GLBT Jews: Keshet Ga'avah"

Comunicato stampa (con preghiera di diffusione): La havurà veronese "Non è in cielo" è la prima organizzazione italiana ammessa al "World Congress of GLBT Jews: Keshet Ga'avah"

La havurà veronese "Non è in cielo" è la prima organizzazione italiana ammessa al "World Congress of GLBT Jews: Keshet Ga'avah"

Si comunica che, a seguito della partecipazione al Pride di Tel Aviv e di uno scambio di mail con i vertici del “World Congress of Gay, Lesbian, Bisexual and Transgender (GLBT) Jews: Keshet Ga’avah” (http://www.glbtjews.org/ ) la havurà (gruppo di studi ebraici) veronese “Non è in cielo” ( http://non-e-in-cielo.blogspot.it ; http://tunica-sfiziosa.blogspot.it ; mailto:non.e.in.cielo@gmail.com ), ospitata nei locali del Milk Verona Lgbt Community Center ( http://waltww.milkverona.it/ ), è stata ammessa al Congresso Mondiale degli Ebrei Gay, Lesbici, Bisessuali e Transgender – l’adesione formale in qualità di osservatrice [Adjunct Organization] è prevista nel giro di qualche settimana, ed allora “Non è in cielo” diverrà la prima organizzazione italiana ammessa a quel consesso. L'altra organizzazione iscritta più vicina a noi è Beit Haverim ( http://www.beit-haverim.com/ ) di Parigi.

Il nome “Non è in cielo” si ispira a Deuteronomio 30:12, così come ripreso dal Talmud babilonese, Bava Metzi’a 57b, in cui ad un sostenitore della tradizione si ribatte che la Legge non è in cielo, ma va stabilita dagli uomini di comune accordo. “Non è in cielo” fa capo all’ebraismo umanista ( http://www.shj.org/ ), per il quale essere ebrei non significa praticare una religione, bensì scegliere di appartenere al popolo ebraico e di immergersi nella cultura ebraica – all’autoidentificazione non serve aggiungere nemmeno la circoncisione.

L’ebraismo umanista, come molte denominazioni ebraiche più diffuse all’estero che in Italia (riformati, conservatori, ricostruzionisti, rinnovatori, eccetera), ama la famiglia (nella sua varietà di forme), rigetta l’eteronormatività, ed assegna pari dignità sia alle persone LGBTQIA+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali/Transgender, Queer, Intersessuali, Asessuali, eccetera), che alle loro famiglie – celebra matrimoni tra persone del medesimo sesso (e pure tra ebrei e non ebrei), e forma (nell’esclusivo ruolo di intellettuali) rabbini di ogni genere, rabbine lesbiche, rabbini gay, rabbin* transessual*/transgender, bisessuali, queer, intersessuali, asessuali, ecc., non vedendo in questo alcuna violazione di un presunto ordine della natura (concetto stoico, non biblico), ma l’affermazione della dignità umana, principio etico fondamentale (dalla Bibbia in poi).

Per far parte di “Non è in cielo” non è necessario essere ebrei, così come non è necessario appartenere ad una minoranza sessuale: occorre avere a cuore la sorte di queste e di quelli, e di tutte le minoranze in genere, ricordando che chi ne colpisce una mette a repentaglio tutti.

Per quanto riguarda lo Stato d’Israele, “Non è in cielo” sostiene l’opzione “due stati per due popoli” e la piena eguaglianza giuridica e sociale di tutti coloro che vivono in Israele (come promesso dalla sua Dichiarazione d’Indipendenza già nel 1948) – così come di tutti coloro che vivono in Italia ed Europa.

Cordiali saluti,
Raffaele Yona Ladu 

giovedì 11 giugno 2015

Fare la storia



Il 10 Giugno 2015/23 Sivan 5775 si è riunito per la prima volta l'intergruppo LGBTQ* (così lo chiamano) della Knesset, il Parlamento israeliano; come spiegato in [1], io e mia moglie c'eravamo, e rimandiamo a quell'articolo per ulteriori commenti.

Raffaele Yona Ladu