giovedì 30 luglio 2015

Attacco al Gay Pride di Gerusalemme

[1] At Least 6 Stabbed at Jerusalem Gay Pride Parade. - Haaretz

[2] Lehava. - Wikipedia

Non è in cielo offre la propria solidarietà alle sei persone pugnalate dal recidivo Yishai Schlissel al Gay Pride di Gerusalemme (vedi [1]), e ringrazia tutte le forze politiche e religiose che in Israele hanno fatto altrettanto.

Esecra altresì la presa di posizione del gruppo Lehavah, su cui (secondo [2]) i servizi segreti israeliani stanno indagando per dichiararla organizzazione terroristica.

Non solo e non tanto per aver loro dichiarato un Gay Pride una  "marcia abominevole", ma soprattutto per aver sostenuto di essere comunque contro il "pugnalare gli ebrei", cosa che va considerata "incitamento all'odio etnico", in quanto implicitamente afferma che la vita dei gentili (ovvero, di coloro che non sono ebrei secondo i loro standard) vale di meno.

Raffaele Yona Ladu

martedì 14 luglio 2015

U(ma)nità a due : Differenze e identità di genere / Miriam Rocca


Il libro [1] ha il merito di aver rilevato (ad onta dell’ignoranza che l’autrice palesa della lingua ebraica) l’importanza di Genesi 2:23 – lasciamo la parola all’autrice:
Ricapitolando infatti possiamo dire che l’uguaglianza è data dall’appartenenza di ambedue i sessi alla specie umana, conseguenza questa dell’identità della sostanza (“Questa volta lei è carne della mia carne e osso delle mie ossa” Gen. 2 – [sic]), che dà a uomo e donna la stessa materia corporale e la stessa forma in quanto entrambi ad immagine di Dio …
Purtroppo, la chiarezza del testo biblico (come ho già evidenziato qui, in ebraico ‘etzem significa sia “osso” che “essenza”) non ha dissuaso l’autrice dal tentare di far rientrare dalla finestra l’essenzialismo cacciato dalla porta.

Nel libro lei dà un’utile lezione di metafisica aristotelico-tomista, ed il principale argomento che ella usa è la nozione aristotelica e tomistica di anima forma corporis, completata dall’affermazione di Edith Stein secondo cui uomini e donne hanno anime diverse.

Qui si va però contro sia Aristotele che Tommaso d'Aquino. Aristotele ritiene che tutte le anime umane abbiano la medesima struttura, e perciò la medesima forma - le differenze tra gli individui sono dovute alla diversa materia.

Poiché in Aristotele l'essenza si riconduce alla forma, ne consegue che in lui tutti gli esseri umani hanno la medesima essenza. Senza avvedersene, lui ha tratto la medesima conclusione dell'autore biblico.

Un bel brano talmudico (bSanhedrin 38a) esprime un concetto simile, affermando che Dio è migliore di qualsiasi zecca, perché, se un uomo da un solo stampo conia monete tutte uguali, Dio Benedetto dallo stampo del primo uomo ha creato individui tutti diversi.

Non che le donne debbano ringraziare Aristotele: se per lui la donna non ha un'essenza diversa dall'uomo, cionondimeno è un uomo mancato - quindi inferiore a lui.

Più articolato è il pensiero di Tommaso d'Aquino, che affronto con l'aiuto della tesi di dottorato [2] (esposta qui in forma condensata), discussa nel 1978 all'Angelicum di Roma - ovvero, l'università dei Domenicani, che hanno tutto l'interesse a che il pensiero del loro illustre confratello venga correttamente esposto.

Secondo l'autrice della tesi, Tommaso d'Aquino, pur ritenendo la donna inferiore all'uomo (e questo non va dimenticato), la ritiene della sua stessa essenza; traduco l'importante brano:

L'essenziale eguaglianza di tutti gli umani
Uno studio della natura della donna per San Tommaso deve iniziare con la sua teoria dell'eguaglianza essenziale o specifica di tutti gli esseri umani. Per lui la donna non è una specie inferiore all'uomo; entrambi appartengono alla stessa specie ed hanno la stessa natura: sono essenzialmente uguali. Questo lo si vede nelle opere dell'Aquinate nella sua teoria dell'anima razionale (in possesso sia degli uomini che delle donne) come la forma sostanziale di tutti gli umani: nella sua descrizione della differenza sessuale come di qualcosa che pertiene non alla forma, ma alla materia od al corpo; nella sua asserzione che sia gli uomini che le donne hanno l'immagine di Dio in virtù della loro comune natura intellettuale; attraverso il suo argomento della necessità della donna per completare la natura umana; ed attraverso il suo insegnamento che gli uomini e le donne hanno il medesimo fine sovrannaturale ed i medesimi mezzi per conseguire tale fine.
Per l'Aquinate, come per Aristotele, l'uomo è una composizione di anima e corpo, eppure un'unità sostanziale; la relazione tra l'anima ed il corpo è la relazione atto-potenza della forma e della materia. L'anima umana come forma attua il corpo, rendendolo vivo e rendendolo un corpo umano, componendo con la materia o corpo un sinolo [supposit], l'uomo. Sebbene semplice, immateriale, sussistente ed incorruttibile, l'anima umana differisce dalle altre forme sussistenti per la sua stessa natura, che è quella di formare ed essere unita con un corpo umano; l'anima umana allora è sia cosa sussistente che forma sostanziale, è il primo atto del corpo, e dà al corpo il suo atto di esistere, il suo modo di esistere, ed essere, semplicemente. [1]
Ma la forma di una cosa determina la sua natura od essenza, dà alla cosa la sua definizione, e la rende parte di una specie. [2] Che cos'è una cosa, allora, è determinato dalla forma di quella cosa, non specificamente dalla sua materia. Dacché uomini e donne hanno entrambi la stessa forma sostanziale di anima razionale, essi sono essenzialmente uguali ed appartengono alla medesima specie. [3]
Nel suo Commento alla Metafisica di Aristotele, Tommaso discute direttamente questa questione dell'essere [o meno] la donna della stessa specie dell'uomo. Sebbene maschile e femminile siano contrari, e la differenza specifica abbia sempre la natura della contrarietà, Tommaso concorda con Aristotele che le donne non differiscono specificamente dagli uomini. Soltanto il tipo di contrarietà che pertiene alla forma causa differenze tra le specie; dacché la contrarietà di maschile e femminile pertiene non alla forma, bensì alla materia, non è capace di differenziare la specie: "Unde relinquitur quod masculus et femina non differant secundum formam, nec sunt diversa secundum speciem." ["Dal che risulta che il maschio e la femmina non differiscano per la forma, e non sono diversi secondo la specie"] [4] Gli uomini e le donne hanno quindi la medesima forma sostanziale che li fa essere quello che sono. Pertanto essi sono il medesimo tipo di essere; sono eguali in essenza.
Quest'eguaglianza fondamentale degli uomini e delle donne nella loro natura di umani è confermata da San Tommaso nelle sue discussioni dell'immagine di Dio, che è in tutti gli uomini. L'immagine di Dio consiste principalmente nella natura intellettuale: è rispetto all'anima dell'uomo (in cui non c'è differenza di sesso), non rispetto al suo corpo, che egli è fatto ad immagine di Dio. [5] Dacché tutti gli uomini, sia maschi che femmine, sono formati da un'anima razionale, essi hanno tutti l'immagine di Dio in ragione della loro natura intellettuale. [6]
L'immagine di Dio nell'uomo, spiega Tommaso, consiste nell'abilità della natura intellettuale dell'uomo di imitare Dio precisamente nella comprensione e nell'amore di Dio per Se stesso. Ci sono tre gradi di quest'imitazione: tutti gli uomini sono l'immagine di Dio per il possesso della loro natura intellettuale; inoltre, gli uomini giusti imitano Dio in più alto grado attraverso la grazia; ed infine nello stato di gloria i beati imitano l'amore e la conoscenza di Dio di Se stesso in modo perfetto. [7] È chiaro che le donne non sono escluse da alcuno di questi tre gradi di imitazione di Dio: esse condividono la medesima natura intellettuale dell'uomo, possono beneficiare della medesima grazia, e grazie ad essa ottenere la condizione dei beati. [8]
All'obiezione che non tutti gli uomini hanno l'immagine di Dio dacché della donna, che "è un individuo della specie umana" disse San Paolo che era non l'immagine di Dio, ma solo dell'uomo, San Tommaso risponde che la natura intellettuale che è il "significato principale" dell'immagine, e la causa o la condizione di tutti i tre modi di essere ad immagine di Dio, si trova sia negli uomini che nelle donne. [9]
Queste sono le note:
[1] S.T. I, 75 and 76.
[2] In Met. Exp. II, 4.
[3] S.T. I, 93, 4, ad 1.
[4] In Met. Exp. X, 11.
[5] S.T. I, 93, 3; Q.D. de Anima XIV.
[6] S.T. I, 93, 4, ad 1.
[7] Ibid, c.
[8] Ibid, ob. 1.
[9] Ibid, ad 1.
Al che uno si chiede a qual cattolico sia mai venuto in mente di essenzializzare la differenza sessuale e ritenerlo parte essenziale della propria fede. E come Miriam Rocca pensa di conciliare la sua posizione con quella del Dottor Angelico.

Esistono autori ebrei che ritengono che esistano anime maschili e femminili, ma probabilmente la differenza di genere, pur rilevante, non tocca l'essenza delle medesime.

L'autrice invece parte dal presupposto che le anime di uomini e donne abbiano diverse forme, e ne trae perciò conclusioni volte ad evidenziare l’irriducibile differenza tra uomini e donne.

L’autrice cerca di propugnare la pari dignità di uomini e donne, ma ritiene che sia gli uni che gli altri siano vincolati al proprio destino di genere (che lei chiama aristotelicamente causa finale); non solo codesta “pari dignità” sembra estremamente modesta per tutti, ma la sua concezione del destino di genere dà il destro a feroci affermazioni transfobiche ed omofobiche.

Le più gravi sono il dar retta ad Alessandra Graziottin quando sbaglia alla grande e mostra di ritenere la disforia di genere una patologia (il DSM-V nega), e l’omosessualità effeminata una sua varietà (dal 1973 non è più considerato vero); invece, quando afferma che transessualità ed omosessualità possano essere il prodotto di cattiva educazione, l’autrice sbaglia da sola.

Raffaele Yona Ladu


giovedì 9 luglio 2015

Una cosa consentita dall'halakhah ma non dalla Legge 40






L'articolo [1], in cui Linda Gradstein spiega come è riuscita a ritornare fertile dopo due menopause precoci, e ad avere due bambini (oltre ai due che aveva già) grazie ad una pozione di erbe cinesi (non si sa se la medicina ufficiale abbia poi indagato su quelle erbe) mi ha molto divertito, anche per un curioso particolare.

Il primo trattamento fu rapidamente efficace, tanto che il ginecologo dell'autrice previde che lei avrebbe ovulato molto presto - troppo presto: appena cinque giorni dopo il mestruo, quando l'halakhah (legge religiosa ebraica) esige che ci si astenga dai rapporti sessuali fino a sette giorni dopo il mestruo.

Che fare? L'autrice non poteva essere certa di avere altre occasioni oltre a quella, e doveva coglierla per forza.

La sua insegnante di Talmud provò a chiamare il famoso rabbino Shlomo Riskin (recentemente caduto in disgrazia: il Gran Rabbinato d'Israele si rifiuta di riconoscere le conversioni operate da lui), che però disse che, avendo ella già avuto due figli, un maschio ed una femmina, lei aveva già adempiuto al comandamento di Genesi 1:28 ("Siate fecondi e moltiplicatevi"), e perciò il suo bisogno di maternità non era così pressante da meritare un'eccezione alla regola.

Alcuni amici ortodossi di lei le fecero notare che la Bibbia proibisce di avere rapporti sessuali solo durante il mestruo, ed i sette giorni successivi sono una "siepe" aggiunta dai rabbini per maggior sicurezza - si poteva quindi ignorare l'aggiunta senza tradire lo spirito della norma.

Non è un caso di scuola: molte donne sono abitualmente nella situazione in cui si era trovata l'autrice, ovvero di ovulare troppo a ridosso del mestruo per concepire se rispettano la norma rabbinica, e chiedono un'esenzione motivandola con il fatto che la norma rabbinica impedisce loro di rispettare il ben più importante imperativo biblico.

Purtroppo, molte donne non si rendono conto di questo, e lasciano passare i loro anni migliori prima di rendersi conto del perché non riescono a diventare madri.

Tornando all'autrice, la sua insegnante di Talmud, la stessa che aveva chiamato inutilmente il rabbino Riskin, trovò l'uovo di Colombo: la fecondazione assistita!

Il divieto di rapporti sessuali durante il mestruo (ed i sette giorni successivi), così come il divieto di adulterio, viene violato solo se la donna si lascia inserire il pene nel corpo, non se si lascia inserire il seme! Ed infatti la fecondazione assistita eterologa dà assai meno problemi agli ebrei che ai cristiani.

La nostra autrice non aveva però bisogno di un donatore diverso dal marito; divertente dettaglio è che, poiché una delle figlie stava male, e non si poteva lasciarla in casa da sola, prima andò il marito alla "banca" a "depositare" il seme, e poi l'autrice a "prelevarlo"(!)

Missione compiuta - l'autrice ebbe così il suo terzo figlio. La fortuna dell'autrice fu di vivere in Israele - in Italia questa manovra le sarebbe stata vietata.

Infatti, come ricorda [2], la mai abbastanza deprecata Legge 40 è scritta così male da sancire, all'articolo 4 comma 1 [vedi 3]:
Il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l'impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate documentate da atto medico nonché ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico.
Il caso di "impossibilità morale a concepire altrimenti", quello dell'autrice, non è stato contemplato, offendendo così l'intelligenza degli elettori (che votano e pagano deputati e senatori perché legislino al meglio), e la libertà religiosa delle donne ebree ortodosse come l'autrice, che possono trovarsi obbligate a scegliere tra la loro religione e la maternità.

Una persona potrebbe dire che lo scrupolo religioso dell'autrice era una fisima, ma va detto che non è una fisima della stessa qualità di chi negli USA cerca di appellarsi alle proprie convinzioni religiose per negare alle coppie same-sex il matrimonio, anche dopo la recente sentenza della Corte Suprema [vedi ad esempio 4].

Infatti questi giudici ed impiegati pubblici (non ministri del culto, badate bene) che si rifiutano di compiere i loro doveri  (per esempio, quello di meritarsi la paga, di mantenere il giuramento di fedeltà, e di amministrare la legge con imparzialità) hanno messo il loro diritto alla libertà religiosa in rotta di collisione con i diritti umani fondamentali (alla dignità umana, all'eguaglianza, al matrimonio, alla famiglia, per cominciare) di altre persone, costringendo così i tribunali a decidere quali debbano prevalere.

Credo che questa loro sfida alla Corte Suprema USA finirà come è già finita in Francia e Spagna: non c'è diritto all'obiezione di coscienza sul matrimonio same-sex, e l'unico modo per un dipendente pubblico per non celebrarlo è chiedere il trasferimento ad altra mansione o dare le dimissioni.

Cattolicamente parlando, il caso di coscienza non si pone, per i motivi spiegati da P. Thomas Reese SJ in [5]; e, ebraicamente parlando, la legge del paese è legge,  ed i doveri dell'uomo verso il suo prossimo prevalgono su quelli verso Dio - l'autore di Matteo 5:23-24 non ha detto niente che un ebreo non potrebbe condividere. 

Tornando all'autrice, il suo aver voluto la fecondazione assistita anziché la congiunzione carnale per motivi religiosi non ha leso i diritti di nessuno - non ci sarebbe stato motivo di negargliela. Tuttalpiù le si sarebbe potuto far pagare il (limitato) costo della procedura, visto che non doveva ovviare ad una patologia.

L'ebraismo si è fatto la fama di essere una religione inutilmente puntigliosa, e non è del tutto immeritata; ma è una puntigliosità molto più attenta alle persone del legislatore italiano!

Questi, nel tentativo di colpire le persone di orientamento sessuale difforme, ha colpito anche le persone di fede religiosa difforme (o di nessuna fede), per le quali separare la sessualità dalla riproduzione non solo non crea problemi etici, ma risolve situazioni altrimenti incresciose.

Provate però a spiegarlo a chi giustifica la propria omofobia/bifobia/transfobia in nome della propria religione: non capirà nemmeno di che state parlando.

Raffaele Yona Ladu

martedì 7 luglio 2015

Laicità insufficiente in Israele



Parecchio spiace osservare che lo stato d'Israele sta diventando la dimostrazione per assurdo dell'importanza della laicità dello stato.

Secondo [1], l'attuale ministro israeliano degli affari religiosi David Azoulay si è permesso il gran lusso di dichiarare che gli ebrei riformati non possono essere considerati ebrei.

Non è la prima volta che il ministro in questione ha attaccato gli ebrei non ortodossi, tant'è vero che i riformati hanno chiesto le sue dimissioni, in quanto lo ritengono incapace di essere il ministro di tutti i cittadini israeliani.

Secondo [2], Benyamin Netanyahu si è reso conto della frittata che ha fatto il suo ministro, ne ha pubblicamente preso le distanze, e lo ha convocato per spiegargli appunto che lui deve essere il ministro di tutti i cittadini israeliani.

Il problema, purtroppo, non è solo nel ministro, o nel partito a cui appartiene (lo Shas), ma nel fatto che nel migliore dei mondi possibili non dovrebbe esistere un Ministero degli Affari Religiosi.

Questo per il semplice motivo che un ministero amministra risorse pubbliche, ma in un paese moderno lo stato non distribuisce risorse pubbliche a nessuna religione.

Azoulay dice cose che molti ebrei ortodossi dicono - ritengono la loro denominazione il metro campione dell'ebraismo, in diritto di giudicare l'ebraicità di chiunque; è una cosa perlomeno maleducata se a farla è un privato cittadino, e Netanyahu ha dovuto ammettere che è politicamente rovinosa se la fa un ministro.

Purtroppo, è nella logica di un Ministro degli Affari Religiosi dire queste cose: se il suo ministero distribuisce risorse pubbliche tra le confessioni religiose, deve accertarsi che la parte riservata agli ebrei sia ripartita solo tra chi è ebreo, altrimenti si commette peculato.

Quello che sta accadendo negli USA (ovvero che le comunità islamiche hanno promosso una raccolta fondi in pro delle chiese cristiane nere distrutte dagli incendi dolosi) potrebbe essere un reato in Israele se l'aiuto dei mussulmani ai cristiani viene dato con fondi ricevuti dal governo israeliano anziché con le offerte dei fedeli - se si facesse una simile raccolta fondi, occorrerebbe una contabilità attenta per dimostrare che non si sta coprendo una distrazione di fondi pubblici.

Ci si lamenta che Azoulay ha dato la risposta sbagliata alla domanda: "Chi è ebreo per il Ministero degli Affari Religiosi?", ma è la domanda che è assurda, perché chi la pone (il Ministero degli Affari Religiosi) non dovrebbe nemmeno esistere.

Le confessioni religiose dovrebbero essere considerate enti non-profit, che campano senza contributi pubblici. E mi va bene se le offerte dei fedeli, oculatamente amministrate, hanno consentito loro di crearsi un patrimonio.

Negli USA l'impossibilità per le religioni di accedere ai fondi pubblici ha portato ad un enorme sviluppo della filantropia, in tutte le religioni, in quanto tutti sanno che se vogliono i loro luoghi di culto, i loro ministri del culto, le loro scuole religiose sviluppate in tutti i gradi che vanno dall'asilo alla facoltà teologica, la loro assistenza religiosa spirituale, materiale e spesso sanitaria, nonché i loro media religiosi, devono mettere mano al portafoglio - e sapere che i più fortunati devono pagare anche per i meno fortunati.

In Italia non c'è questa mentalità - si considerano i "servizi religiosi" un atto dovuto, senza rendersi conto che se non paga il fedele, paga il contribuente, e questo vuol dire che uno dei due condiziona l'altro: o il fedele estorce denaro al contribuente (quello che accade in Italia ed Israele), oppure il contribuente sorveglia il fedele (il modello cesaropapista delle chiese cristiane ortodosse, imitato dai paesi islamici con i loro muftì).

Inoltre le statistiche israeliane mostrano che, anche se in teoria il Ministero degli Affari Religiosi eroga denaro a tutte le religioni presenti in Israele, la proporzione che va agli ebrei ortodossi è superiore alla loro proporzione della popolazione israeliana. È una delle tante distorsioni che evidenziano la mancanza di laicità dello stato israeliano.

Raffaele Yona Ladu

lunedì 6 luglio 2015

Basta Rabbini, voglio un Rebbe!



Dopo aver letto e tradotto (a beneficio degli amici cattolici) l'articolo [2], ho incontrato l'articolo [1], che mi ha affascinato anche se mi sento lontano dal chasidismo, e per il profitto e l'edificazione di tutti lo traduco.

Abbiamo sentito abbastanza Rabbini sul matrimonio gay, ora ci serve un Rebbe.

Ysoscher Katz - 6 Luglio 2015

La conversazione degli ebrei ortodossi sulla decisione della Corte Suprema sul matrimonio gay mi ricorda perché sono "Modern Chassidish = Chassid Moderno" e non "Modern Orthodox = Ortodosso Moderno".

Ci sono molte differenze tra questi due filoni, ma quella fonamentale è questa: le loro opinioni sono molto diverse sul ruolo dell'Halacha (legge ebraica) nella vita religiosa. L'ebreo ortodosso moderno fa esperienza del mondo solo attraverso il prisma dell'Halacha, mentre la visione del chasid moderno è più ampia e comprensiva. L'Halacha è quello che dà forma ed ispirazione all'osservatore ortodosso moderno. È inoltre il barometro esclusivo che egli od ella usa per determinare la validità della vita di qualcuno e la legittimità delle sue scelte. D'altro canto, per il chasid moderno, l'Halacha è solo una cornice, un modo di vivere che crea un'infrastruttura in cui la religiosità individuale cresce e fiorisce. La competenza del chasid va molto oltre l'osservanza dei comandamenti. Lui permette ad un più vario mix di considerazioni teologiche di informare le sue prese di posizione religiose ed il suo atteggiamento verso gli altri.

Finora, la reazione della leadership ortodossa alla decisione della Corte Suprema è stata esclusivamente, strettamente halakhista (legalistica) - proprio sulla falsariga di come avrebbe reagito il Gaon di Vilna. La risposta dei rebbe chasidici che seguono il Ba'al Shem Tov sarebbe stata assai diversa, nel tono e nel contenuto. Questa è la voce di cui tanto si sente la mancanza nella nostra comunità. Mentre noi abbiamo la benedizione di un'abbondanza di rabbini che opinano sulla decisione e sulle sue conseguenze, abbiamo disperato bisogno della voce di un rebbe. La situazione delle persone gay presenta una seria sfida al credente ortodosso. Il rabbino ed il rebbe hanno dei ruoli clericali assai da interpretare in questo enigma religioso. Il ruolo del rabbino è di giudicare, quello del rebbe di fornire cura pastorale. Il rabbino, guidato dal Talmud e dai codici, opina ed aggiudica, mentre il rebbe, il cui pensiero halachico è aumentato da un'orientamento spiritualista, scansa i giudizi per concentrarsi sulla cura spirituale.

Mentre il teologo chasidico attinge a molte fonti tradizionali, ce ne sono due che si evidenziano come particolarmente  potenti. Una è una lezione piena di intuizioni insegnata nel Talmud dalla moglie di Rav Meir. Proponendo un'approccio sfumato verso il peccato, lei ammonì il marito, che per errore confondeva il peccato con il peccatore. La sua comprensione del compito pastorale fu che il devoto può separare la persona dal suo comportamento, andando oltre i suoi misfatti passati per vedere l'umanità intrinseca in ogni essere umano. Su queste linee c'è una frase talmudica che loda il criminale che chiede l'aiuto divino prima di commettere un crimine. Quest'insegnamento provocatorio ci impone di capire che ci possono essere significati spirituali anche nei momenti in cui la vita di un individuo non è in consonanza con i precetti religiosi dell'Halacha.

Mentre gli halachisti esplorano le minuzie della legge ebraica  per vedere se l'ortodossia può dare spazio alle persone gay al loro interno, i rebbe hanno un diverso ruolo da giocare. I rebbe hanno bisogno di essere gli accompagnatori spirituali di queste persone, che camminano insieme con loro nell'arduo viaggio di riconciliare la loro convinzione religiosa con la loro predisposizione sessuale intrinseca, aiutandoli a santificare questo viaggio tortuoso nel processo. C'è una storia che mi piace su Rav Levi Yitzchak di Berdichtov. Mentre camminava un giorno per la strada, un giorno notò un seguace dire le sue preghiere quotidiane mentre stava oliando le ruote del suo carro. Invece di reagire con indignazione. egli mise da parte il suo disagio legalistico, si volse al cielo, e disse: "Dio, guarda il tuo meraviglioso popolo! Gli piace tanto pregare che anche quando stanno oliando le ruote si volgono comunque a te per pregare e supplicarti". Da chasid, egli consentì alla sua sensibilità pastorale di prevalere sulla sua sensibilità giuridica. Invece di sgridare il chasid per la sua mancanza legalistica, scelse di santificare proprio quel peccato, pensando che un simile posizione avrebbe portato ad una superiore crescita spirituale.

La voce legaistica ha dominato la sfera pubblica ortodossa - ma i nostri fratelli e sorelle gay meritano di avere l'asprezza della certezza morale smussata dalla tenerezza della cura pastorale spiritualmente infusa. La storia determinerà che meta prenderà il viaggio dell'omosessualità nell'ortodossia. Il ruolo del chasid moderno è di garantire che questo viaggio, che si spera porti le persona ad una maggiore osservanza religiosa, sia il più sacro possibile. Spero che l'importante voce del rebbe si aggiunga presto alla cacofonia di voci religiose su questo problema. I nostri fratelli gay la meritano e ne hanno disperato bisogno. Per quanto mi riguarda, non vedo l'ora di essere parte di questa squadra. Anche se mi piace studiare e praticare l'Halacha, io lascio il legalismo di questa questione particolare ai miei colleghi rabbini che ci guadagnano da vivere. La mia anima chasidica moderna mi porta verso un'altra direzione, dacché gravita più verso il punto di vista pastorale di questo complesso problema. Qui è dove incontro la divinità inclusa in ogni essere umano, indipendentemente dalle azioni, dal credo o dall'orientamento sessuale.

Ysoscher Katz è il presidente del Dipartimento di Talmud alla Scuola Rabbinica della Yeshivat Chovevei Torah, ed il  Direttore del Lindenbaum Center For Halakhic Studies.